Capita spesso di parlare con persone o sentire/assistere a racconti dolorosi riferiti ad un rifiuto ricevuto.
Spesso, un rifiuto sembra apparire, dai racconti, più subíto che ricevuto.
Ma perché, questo sentirsi rifiutati genera reazioni negative e a volte anche di-struttive?
Nel dire comune il rifiuto è considerato qualcosa di negativo, orribile e nessuno vorrebbe riceverne. Un rifiuto è associato a vergogna, a qualcosa che non serve, che va gettato, è sporcizia, qualcosa che disgusta o non è approvato nè utile.
Nel vocabolario etimologico, la parola rifiuto deriva dal latino refutāre: re-indietro e futāre respingere, abbattere.
Essere rifiutato genera dolore emotivo.
Sono stati fatti svariati studi, alcuni di questi mostrano, grazie all’aiuto di risonanza magnetica, che quando sperimentiamo il rifiuto, si “accendono” nel cervello le stesse aree che sono coinvolte quando proviamo del dolore fisico. Un altro studio ha dimostrato di quanto negativamente sia influenzato, dal ricordo di un vissuto di rifiuto, il punteggio di un test d’intelligenza*.
Il suo potere è tale che, se non smascherato, ci toglie lucidità.
Attraverso il ricordo di un’esperienza di rifiuto, ci sentiamo pervasi da quei sentimenti che provavamo in quel preciso momento perché sembra che il cervello registri tutte le esperienze, compresi i vissuti emotivi a queste associati. Di conseguenza di fronte ad un rifiuto registrato come pericoloso/doloroso, la parte adibita del nostro cervello attua copioni automatici programmati per salvaguardarci. Questo accade in automatico, senza che nessuno ci insegni a respirare e rallentare per soffermarsi sul fatto che il presente non è il passato, svalutando le capacità personali di saper stare, trovando, attraverso l’accoglienza e l’ascolto in noi la terapia di guarigione innata in ognuno nel qui ed ora.
Il rifiuto destabilizza il nostro “bisogno di appartenenza” , devasta l’autostima, stuzzica il senso dell’abbandono e induce un profondo dolore emotivo.
Il rifiuto crea ondate di rabbia e aggressività verso se stessi e/o verso l’altro. L’essere rifiutati mina la propria autostima: facendoci sentire e di conseguenza rendendoci “in difetto”, “colpevoli”, sbagliati, inadeguati ecc..
Questo intruglio nutre gratuitamente il nostro dolore emotivo a discapito di energia che potrebbe essere incanalata verso il ben-essere.
Nella società in cui vivo, il rifiuto è considerato, percepito e vissuto come un evento temuto e negativo.
In realtà, se ci fermiamo e mettiamo da parte schemi mentali preconfezionati, paure, l’idea che si deve sempre essere perfetti, approvati e vincenti e via e via.. se ci mettessimo in ascolto, in contatto con quella parte più magnanima di noi, che genera autostima ed accoglienza delle normali, umane imperfezioni, potremmo cogliere sfumature utili per il proprio bene-essere.
Avete mai pensato che il rifiuto potrebbe rappresentare una funzione vitale nella nostra evoluzione?
Un rifiuto può avere su ognuno di noi, sfumature ed intensità differenti correlate ad alcuni fattori tipo: da chi lo riceviamo , vissuti, valori, pensieri, giudizi ed emozioni che da questo si animano dentro di noi (identità e autostima).
In base a questo, il vissuto può essere più o meno spensierato in base all’intensità emotiva (emozioni, esperienze, ricordi…) che ognuno di noi “ci mette” nell’interpretare. L’interpretazione che diamo a quello che ci capita (in questo caso il rifiuto) fa trasformare i pensieri in emozioni, le emozioni in azioni e le azioni, a sua volta creano o rafforzano uno stato d’animo più o meno favorevole per il proprio benessere (crescita / opportunità o svalutazione / dolore).
La tendenza di ognuno di noi a dover rimanere incasellato in schemi di perfezione, di educa(stra)zione e di standard aimè condivisi socialmente contribuisce a mantenerci critici e prigionieri di stereotipi distorti di bellezza.
Così facendo perdiamo la direzione, vivendo una vita e dei dolori che in realtà non ci appartengono
rifiutandoci noi stessi per primi…
e allora, come possono accoglierci gli altri?
Ri-fiuto: se ci penso bene la parola mi suggerisce di fiutare più volte.
Il fiuto è quella parte raffinata che deriva dall’annusare, per poter conoscere, discriminare e scegliere.
Ecco, la proposta di oggi è quella di mettersi in ascolto, con lentezza, accoglienza e senza giudizio per ri-fiutare qualità che dentro di me sono doni per me e per il mondo a prescindere dal “è sempre stato cosi/così fan tutti”, dagli stereotipi e dal compiacere gli altri.
Allora rifiutiamo, cioè spingiamo indietro quello che:
davvero non ci appartiene,
le etichette,
non ci è più utile (ringraziandolo per esserci stato salvifico in passato quando le nostre risorse erano diverse da quelle di oggi),
ci rende schiavi,
ci toglie potere personale (perché lo delego al di fuori di me e quindi non ne ho potere).
Solo così, attraverso il ri-fiuto i miei passi sceglieranno il percorso dell’essenza che mi rende quello che sono e che non posso assolutamente rifiutare perché solo lì, sarò vita pulsante, ricevuta e non subita, quella vita che accoglie e per cui sono nato.
LFR?
* ringrazio CentroMoses
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