Vi è mai è mai capitato di aspettare?
Sicuramente si.
A volte si aspettano persone, eventi, risposte …
Parlo dell’attesa “comune” nel quotidiano e non di quell’aspettare risposte di “vita o di morte” in cui ci sono alcune sfumature, che se pure rimangono, sono diverse rispetto a quello che tratta questo post (ci vorrebbe un diverso approfondimento, più specifico).
Solitamente , in base a chi o cosa stiamo aspettando l’intensità di questa attesa varia.
Variano lo stato d’animo, il respiro, i pensieri, le emozioni, i nostri movimenti, il trascorrere del tempo, le azioni … nell’attesa.
Ci sono momenti in cui l’attesa ci rapisce e diventiamo preda di uno stato d’animo spiacevole, che sembra non darci tregua.
Ed è allora che, in questo scorrere frettoloso, immediato, identificato sull’efficienza come standard a cui attenersi, iniziamo a sentirci irrequieti, i pensieri si affollano incessanti nella nostra mente ammucchiandosi inesorabilmente in un groviglio auto generativo di negatività. Il nostro corpo riflette questo stato d’animo ed iniziamo a muoverci, a guardare l’orologio pensando che il tempo abbia smesso di scorrere.
Il nostro movimento si trasforma, ci accompagna e ci ritroviamo inconsapevolmente ad assumere una postura da cui si evince la parte in cui, spesso chi attende, si identifica.
Spesso nell’attesa ci possiamo identificare in diversi “personaggi” che variano, anche a seconda del nostro essere, dal giudice, all’impaziente, allo sfortunato, al remissivo, al rassegnato, all’arrabbiato, al giustiziere, al killer 😆 … e via e via …
Tutti personaggi che prendendo il sopravvento (la maggior parte delle volte con fare poco scherzoso) su di noi ed espandendosi a dismisura controllano il nostro stare portandoci lontano sia da noi stessi che dal ben-essere.
E senza neppure sapere come, ci ritroviamo a vivere un senso di smaniosa ingiustizia, un’attesa stressante in cui il nostro pensiero si cristallizza.
Come sempre l’auto osservazione ci è alleata.
Attendere, dal latino ad-tendere, significa “volgersi a” e anche questa volta l’etimologia ci propone un’interessante riflessione.
Quando attendiamo, da che parte siamo volti?
A cosa prestiamo attenzione?
Dove rivolgiamo il nostro animo?
Riusciamo a svincolarci dell’incessante ticchettio che scandisce le nostre vite ormai assuefatte da un immediato clic?
Stiamo vivendo nel presente?
Ma soprattutto, in che modo potremmo rivolgerci verso noi stessi per vivere il presente in maniera sana e costruttiva?
Potrebbe l’attesa diventare un momento personale prezioso?
LFR
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