“Quando una forma di vita individuale, o una specie, è colpita da una crisi , quando il suo vecchio modo
di essere nel mondo, di interagire con gli altri e con il regno della natura non funziona più, quando la sua sopravvivenza è minacciata da problemi apparentemente insormontabili, può morire o estinguersi, oppure elevarsi al di sopra delle limitazioni del suo condizionamento con un salto evolutivo.”Eckhart Tolle.
Viviamo in un epoca critica caratterizzata da un attacco improvviso alla salute degli esseri umani e del nostro pianeta. Per molti secoli abbiamo abusato del nostro habitat, sfruttandolo come schegge impazzite. Oggi all’improvviso abbiamo scoperto che in realtà il nostro pianeta è un complesso organismo vivente dotato di un grande potere di autoregolazione, e che esso può reagire alle nostre aggressioni in modo a volte drammatico. Sono convinto che questo sia uno di quei periodi in cui sia necessario adoperarsi per fare questo salto, o perlomeno di prepararsi a farlo. E’ un salto nel vuoto, ovvero sappiamo cosa lasciamo indietro ma ci è sconosciuta la nuova strada. Non siamo tutti pronti per questa sfida ed infatti ci sarà una parte della popolazione che riconoscerà presto l’urgenza di un cambiamento piuttosto radicale, una piccola parte, e chi ancora non ne sente l’esigenza di questa trasformazione. Ci sono sempre stati cambiamenti evolutivi nella storia e capitano sempre quando non siamo più felici, lo vediamo anche nel nostro microcosmo, quando qualcosa non ci piace più, lo cambiamo. Capita nelle storie d’amore, nel lavoro e nelle amicizie. Sentimenti, conoscenze ed oggetti con i quali ci siamo identificati, cessano di significare qualcosa per noi e quindi urge un cambiamento. I vecchi schemi mentali si frammentano piano piano per far posto a quelli nuovi di pacca. E’ il momento di scegliere se vogliamo essere felici o contenti. L’uno esclude l’altro, non hanno lo stesso significato. Nessuno parla più di felicità, nemmeno i filosofi odierni, non si nomina più e si propende per la contentezza che è meno sconvolgente e più sicura. Si parla di doveri, di problemi, di ideali in cui tutti ci sacrifichiamo per qualcos’altro ma non si parla soprattutto di felicità personale. Fu Kant, fiolosofo illuminista, a capire per primo che la felicità e la contentezza sono due cose che hanno due significati diversi. Contento ha la stessa radice di contenere che in latino “continere” vuol dire trattenere, quindi il contento è quello che si trattiene perché sta bene contenuto dentro il sistema in cui sta, si fa piacere le cose, sta bene con quello che ha. Sono le persone che si fanno piacere il proprio lavoro per esempio. Essere contenti non è difficile è rassicurante e permette anche una lunga vita perché sei al sicuro, vive tanto in quantità e poco in qualità. Ma questa non vuol essere una critica, è una scelta di vita. IL felice invece è quello che produce e genera perché quello che è e che ha non gli basta, è quello che fa succedere le cose. Il contento non fa succedere niente, ha paura di quello che può succedere. Il felice fa capitare le cose, le fa succedere, e successo viene da successo, quindi colui che è felice e colui che ha successo .Il contento non ha successo, è tranquillo, non ha paura, ma ha paura di aver paura. La paura è un energia trattenuta, per esempio se siamo arrabbiati, e trattieni la collera, la tua collera si trasforma in paura. Se tu vuoi corteggiare una persona e trattieni tale impulso, questo impulso di carattere sessuale si trasforma in paura. Se tu vuoi giocare e per qualche motivo non puoi il tuo impulso al gioco si trasforma in paura. La paura è gioia invertita. In conclusione sfatiamo il mito che nelle favole vissero tutti felici e contenti e traformiamolo in vissero tutti felici o contenti? (Spunti sull’argomento presi da una conferenza di Igor Sibaldi).
R.V.
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